lunedì 27 agosto 2007

Una nuova stagione dalla Pop Art: il "Pop B."




Pop art è il nome di una corrente artistica della seconda metà del XX secolo.
La Pop Art è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra. Esordisce in Gran Bretagna alla fine degli anni ‘50, ma si sviluppa soprattutto negli USA a partire dagli anni ‘60, estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale.
Questa nuova forma d’arte popolare (pop è infatti l’abbreviazione dell’inglese popular, popolare) è in netta contrapposizione con l’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo Astratto e rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi.
L’appellativo “popolare” deve essere inteso però in modo corretto. Non come arte del popolo o per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa, cioè prodotta in serie. E poiché la massa non ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di individui.
In un mondo dominato dal consumo, la Pop art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo: il cosiddetto “folclore urbano”. È infatti un’arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: i fumetti, la pubblicità, i quadri riprodotti in serie. Il fatto di voler mettere sulla tela o in scultura oggetti quotidiani elevandoli a manifestazione artistica si può idealmente collegare al movimento svizzero Dada, ma completamente spogliato da quella carica anarchica e provocatoria.
La critica alla società dei consumi, degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato (dell’arte) completamente calato nella logica mercantile. Ciò nonostante gli artisti che hanno fatto parte di questo movimento hanno avuto un ruolo rivoluzionario introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura, come il collage, la fotografia, il cinema, il video.
La sfrontata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni. In altre parole, la Pop Art attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano – in specie della società americana – e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili.
Con sfumature diverse, gli artisti riprendono le immagini dei mezzi di comunicazione di massa, del mondo del cinema e dell’intrattenimento, della pubblicità. La Pop Art infatti usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l’ha prodotta. L’artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico. Questi oggetti, riprodotti attraverso la scultura e la pittura, sono completamente spersonalizzati.
Nelle mani di un artista pop le immagini della strada si trasformano nelle immagini “ben fatte” dell’arte colta. I temi raffigurati sono estremamente vari: prodotti di largo consumo, oggetti di uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni pubblicitari, insegne, foto di giornali.
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Gianni Nappa
Fatta questa premessa, si evince come nella pop art il riferimento ai miti contemporanei sia una delle costanti per gli artisti anglosassoni, mentre per gli italiani con la stagione romana si afferma un istintivo senso della sperimentazione per loghi in Schifano, una ricerca per immagini cinematografiche per Rotella e un rimando storico sacrale per Tano Festa.
Gli epigoni ultimi come Nespolo, rielaborano il cromatismo mediterraneo, aprendo la strada ad altri artisti come Donzelli che giocano sull’humor e sui miti pittorici del secolo XX.
Beatrice Feo artista palermitana, capovolge il senso del mito e prende spunto da personaggi e miti della storia mondiale per farne oggetti comuni che siano di massa, non per la riproducibilità ma per l’impatto con una società disabituata alla sua radice, cultura e storia profonda.
Ecco che i re, le regine, i poeti, le eroine, le figure leggendarie appaiono come soluzione alle carenze di comprensibilità del sistema arte contemporaneo e pongono la doppia questione della riproducibilità in forma unica e non industriale per una committenza poco popolare ma attenta e colta che sani il bisogno di una comprensione per tutti attraverso le immagini e riesca anche a far conciliare le nuove sperimentazioni artistiche pittoriche con la richiesta del mercato internazionale che paiono orientate solo alle grandi installazioni istituzionali e museali.
La riaffermazione attraverso il POPBAROCCO della vitalità dell’arte italiana e mediterranea con peculiarità che la differenziano nel panorama mondiale per l’istintiva memoria culturale, per la cromia forte e passionale e per il barocco come senso di appartenenza ad un popolo che è lumi, scienza, innovazione in un contesto difficile e contraddittorio, il SUD.
Beatrice Feo condensa nel suo lavoro appassionato, i valori e le ansie del meridione d’Italia, ma afferma anche la grande sacrale predisposizione a distribuire il sapere come forma di comprensione di massa attraverso le opere d’arte da sempre veicolo di primo impatto emozionale, come insegna la chiesa.
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1 commento:

Enrico ha detto...

Beatrice Feo. Una forza espressiva rara e dissacrante dei valori stantii ed omologati nella quotidianità del nulla. Finalmente un impeto vitale che se ne frega delle convenzioni della modernità e nel contrappasso riscopre le promesse della storia. Emozioni e gratificazioni per la vista e per l'animo.